Da Dino, Deliana e Mariella in occasione del 25simo di Gancio

(letto da Dino Angelini in occasione della cena di beneficenza del 13.11.15)

Buonasera, e grazie a tutte e a tutti per avere voluto partecipare a questa cena di beneficenza!

Gancio Originale compie proprio in questi giorni i suoi primi venticinque anni di vita; ed io, Deliana Bertani e Mariella Cantini (parlo anche a nome loro) sentiamo il bisogno di dire a voi ed alle nostre giovani collaboratrici alcune cose che ora andrò a leggere.

Ormai molti di voi – i presidi ed i proff referenti, ad esempio – sanno che da oltre un anno all’interno della equipe di Gancio stiamo disponendo le cose in modo che alla scadenza del mio ultimo mandato come presidente (cioè a fine febbraio 2016) passeremo il testimone a Chiara Vecchi, a Francesca Ferretti ed alle altre nostre bravissime giovani amiche e colleghe.

Lo ribadiamo anche qui stasera perché tutti sappiano, ma soprattutto per dire a voi, oltre che a loro, di che natura a nostro avviso è il patrimonio che lasciamo in eredità. Che non è l’insieme dei servizi di Gancio (Workshop, Stanze di Dante, Free Student Box, ecc) – che fra l’altro è ormai strettamente nelle mani delle nostre giovani amiche – ma quella che, quando andiamo in giro a parlare delle nostra esperienza, definiamo come la “filosofia di Gancio”.

Filosofia che consiste essenzialmente in cinque punti:

– Innanzitutto ciò che abbiamo appreso fin dai primi giorni di vita di Gancio: eravamo andati nelle superiori a cercare obiettori e ci ritrovammo con una trentina di giovani volontarie. Se avessimo avuto in mente un modello forte le avremmo scartate. Cosa che non facemmo perché – in base a ciò che poi chiamammo “logica induttiva”, intuimmo che in quel momento stava emergendo una disponibilità alla cura che poteva essere raccolta e valorizzata.

Era il modello “debole”, cioè duttile, flessibile, che ci derivava da una pratica e da una riflessione sulla pratica ormai ventennale nei servizi del welfare reggiano, che ci permise di cogliere la rilevanza di quella disponibilità che andava emergendo nell’adolescenza reggiana (all’inizio circoscritta alle giovani, ma ormai da una dozzina d’anni sempre più in estensione anche fra i giovani).

Questo il primo tassello della nostra filosofia: la logica induttiva, che ci ha portato poi ad estendere l’ambito del nostro intervento (Stanze di Dante, Free Student Box, Free Junior, Free Baby, ecc). Ed a calibrarlo in continuazione in base ad una rilettura attenta dei bisogni reali emergenti nel presente di una realtà sociale, peraltro, in rapidissima trasformazione.

Rilettura che avviene in equipe: luogo principe di riflessione, discussione e programmazione (riunione che noi proprio per questo remuneriamo!).

– Un secondo, decisivo elemento è per noi rappresentato dall’inserimento del nostro lavoro in una rete di reti, anch’essa estremamente mobile, che comprende istituzioni pubbliche e private – profit e soprattutto no profit – di tipo scolastico, sanitario e sociale, ma anche strutture di volontariato, enti di beneficenza, parrocchie, ambienti sportivi.

Ogni rete è composta da vari comparti, ognuno dei quali a sua volta si scompone in vari nodi che vanno raggiunti e sensibilizzati ad un lavoro comune che varia da luogo a luogo. S’impara ben presto a non dare mai nulla di scontato ed a mirare, anno dopo anno, a ribadire e, possibilmente, ad estendere i nostri embricamenti in questa rete di reti.

A complicarla, ad aggiornarla! a volte basta l’andata in pensione di un preside o di un docente referente per ricominciare tutto da capo. Si tratta insomma di un vero e proprio lavoro di cura dei singoli nodi delle varie reti che mira ad implementare la reciprocità.

Lavoro di cura che implicitamente è anche per noi un memento per non montarsi la testa, per mantenere sempre ben chiaro da una parte il senso del nostro limite, di ciò che possiamo o non possiamo fare, tenuto conto anche delle condizioni in cui operiamo; dall’altra il grande vantaggio che deriva dalla fiducia e dalla complementarietà rispetto ai docenti, ai presidi, agli altri operatori della scuola, della sanità e del sociale.

Perciò – certo! – la competenza nella clinica psicologica e la cura dei nostri pazienti è per noi importante! ma ugualmente importante è che le psicologhe di Gancio abbiano anche una propensione, una disponibilità alla “cura” diuturna – potremmo dire – della rete di reti in ogni suo singolo nodo, per quanto periferico esso sia.

– Un altro elemento – forse il più sconvolgente per i media – è la nostra immagine ottimistica dell’adolescenza attuale. Abbiamo denominato questo, che è il terzo elemento costitutivo della nostra filosofia: l’adolescenza come risorsa; che contrasta con quell’immagine negativa, e per noi “sintomatica”, dell’adolescenza che proviene spesso dai media, in base alla quale i giovani emergono sempre e solo nei loro aspetti più problematici.

Per carità! non è che noi abbiamo in mente un’immagine angelicata dell’adolescenza, ma abbiamo appreso che, a fianco a questa immagine inquietante – e spesso epifenomenica – dell’adolescenza, esiste, spesso negli stessi soggetti più esposti (le riflessioni di Pietropolli Charmet in proposito sono da noi ampiamente condivise), anche un’altra adolescenza che, opportunamente e discretamente accompagnata nel prendersi cura degli altri, può più facilmente familiarizzare con le proprie parti più adulte e mature.

E abbiamo appreso anche – proprio perché siamo psicologi – che la riduzione dell’adolescenza alla sua parte più problematica è la riedizione aggiornata e corretta di quell’atteggiamento guardingo e sospettoso che gli adulti di ogni cultura hanno sempre avuto nei confronti del passaggio degli adolescenti all’età adulta, che fa da pendant alle ansie ed alle angosce dei giovani di fronte all’incognita del diventare adulti.

E, in base alla nostra lettura della società reggiana e metropolitana che non si prende più cura del passaggio, abbiamo imparato a riconoscere nella propensione alla cura degli adolescenti l’esigenza di quel prendersi cura di sé di cui parlavamo sopra! Per cui – come ci diceva anche la Manoukian Olivetti – il lavoro di questi giovani volontari presenta un doppio versante: quello della cura degli altri, ma anche quello della cura di se stessi.

L’adolescenza come risorsa quindi, che Gancio tende a scoprire ed a valorizzare attraverso la messa alla prova che è implicita in questo doppio percorso di cura.

Seguono ora due elementi della nostra filosofia -diamo così- più interni all’equipe: l’accompagnamento e ciò che abbiamo chiamato “il minimo comune multiplo”.

L’accompagnamento deriva dall’unione di varie componenti che caratterizzano la composizione dell’equipe di Gancio: la presenza di giovani volontari(e), di tirocinanti, di tirocinanti post lauream, di colleghe molto giovani appena reclutate in Gancio, di colleghe un po’ più anziane e dei tre seniores.

Questa disomogeneità di esperienza poteva diventare un elemento in base al quale scaricare a cascata il peso del lavoro di cura sui più giovani. Ciò non è accaduto e fin dall’inizio tutti si sono disposti su quel piano di scambio che Godbout chiama “sistema del dono”, nel nostro caso ampiamente basato sul gioco (non dimentichiamo che Donald Winnicott definiva la stessa psicoterapia come una forma altamente specializzata di gioco!!)

Dare – ricevere – contraccambiare è stato il nostro modo di rapportarci fra di noi. Ognuno ha delle cose da dare e da ricevere da tutti. A partire dai nostri pazienti, che ricevono le cure, ma che con i loro progressi ci sostengono nell’apprendimento del nostro mestiere. E allo stesso modo, a scalare, nello scambio che avviene ad ogni livello; o, meglio, che noi programmiamo ad ogni livello. Senza mai appesantire però i percorsi dello scambio poiché siamo contro il riunionismo, contro la formazione che tende ad avere gli anni di Nestore e di Priamo. Poiché confidiamo sull’apprendimento in itinere che avviene operando e riflettendo insieme.

Per cui si può dire che ogni momento della formazione, della promozione e dell’attività di sportello sia stato continuamente ridiscusso in base ad un’ottica che è, al contempo, figlia sia della logica induttiva che dell’uso accorto delle dinamiche dell’accompagnamento.

Ed abbiamo scoperto che l’accompagnamento, per essere leale nei confronti dei giovani, volontari, per essere non manipolatorio della loro propensione alla cura, deve ottemperare ad un insieme di regole di condotta che potremmo riassumere così: – non effettuare alcuna forzatura sul piano del reclutamento; – porsi in una situazione di ascolto e di scambio coerente fin da subito nei loro confronti; – non liquidare alcuna idea e proposta che sorga in itinere da essi, così come da ogni altra componente; – pianificare i momenti di verifica ed esortare tutti all’assunzione di un atteggiamento critico; – apprendere dall’esperienza e partire dal presupposto che ciascuno, con la propria parola e con il proprio comportamento, è portatore di un discorso che va preso in considerazione.

Infine, cosa importantissima con i giovani, abbiamo appreso che ogni anno tutto ricomincia da capo, che, di volta in volta, vanno affrontati e risolti i problemi di separazione che necessariamente insorgono, che chi rimane è l’unico garante della continuità e che perciò deve continuamente riattrezzarsi a ricominciare da capo.

E’ il miracolo dell’ascia di Washington che rimane lì, nella cascina del primo presidente degli Usa, ancora nuova e lucente, anche se nel frattempo sono stati cambiati cinque volte il manico e due volte il ferro.

– Ed infine il principio del “minimo comune multiplo”: e cioè NON la ricerca di un accordo fra tecnici alla ricerca di un comune background scientifico di riferimento di tutti i professionisti coinvolti, MA la ricerca di un accordo, e di un agire conseguente in base ai quattro punti precedenti.

Infatti un gruppo di lavoro che operi a partire da una omogeneità scientifica di fondo (sia essa la psicoanalisi, l’approccio sistemico, etc) è contrassegnato dall’esigenza di raggiungere un massimo comune denominatore fra i propri aderenti. Con tutti i rischi connessi in un processo di questo genere che, in questi gruppi più facilmente che altrove, può sfociare anche in una iniezione letale di conformismo e di soffocamento dello spirito critico. Ma anche con tutti i vantaggi che derivano dalla condivisione dello stesso approccio.

Nei gruppi di lavoro come Gancio, nati sotto il segno dell’esperienza territoriale, invece, è più realistico perseguire l’obiettivo del raggiungimento di un minimo comune multiplo che permetta a ciascuno dei membri dell’équipe di sentirsi parte di un tutto operativo pur mantenendosi coerente con le proprie ascendenze scientifiche.

È chiaro che anche in questo secondo caso esiste un rischio, a nostro avviso speculare rispetto al primo: quello di ritrovarsi con una équipe composta da un insieme di monadi, fra loro scarsamente disposte al dialogo e allo scambio; e con tutta una serie di possibili operazioni intermedie di dissimulazione di questo effettivo trend. Ma con il vantaggio di arricchirsi e di potere far tesoro della diversità, se questa viene effettivamente messa in circolo e valorizzata.

La domanda che sorge spontanea allorché – come accade anche in Gancio – ci si trova ad operare in questo secondo tipo di équipe è la seguente: quali sono, allora, gli elementi di fondo che possono costituire questo minimo comune multiplo?

A nostro avviso gli elementi fondamentali vanno ricercati nella condivisione di un metodo di lavoro comune, di una comune disposizione a rivederlo di tanto in tanto e – all’occorrenza – a rimetterlo a punto senza eccessivi timori, a iterarlo in ogni situazione in base ad un discorso analogico sufficientemente duttile, ma anche capace di ritrarsi di fronte a una situazione compromissoria che ne intacchi le fondamenta.

Si tratta insomma di un insieme di punti “meta”, che non entrano nei contenuti o nei discorsi scientifici della psicologia e della psicoterapia, e che nel nostro caso potrebbero essere riassunti così: riusciremo a lavorare insieme se oseremo rimanere creativamente coerenti sui quattro punti precedenti.

Questa è la vera eredità che vi lasciamo!

Un’eredità che – come sapete – deriva dal lavoro comune e dalla comune riflessione sul lavoro, sulla scuola e sulla società reggiana. Lavoro che vi vede sempre più protagoniste, mentre noi seniores cominciamo a defilarci. Ma, come sapete, il nostro non è assolutamente un addio: continueremo a stare a fianco a voi con il tutoring, la supervisione, la formazione; ed ovviamente ogni volta che sentirete, anche individualmente, il bisogno di chiedere un nostro parere.

Siamo come in una dissolvenza incrociata: una scena che fino a poco tempo fa era in primo piano, e che vedeva noi seniores protagonisti, comincia a sfarfalleggiare ed a dissolversi sullo sfondo, mentre un’altra che vede voi protagoniste emerge sempre più netta dallo stesso sfondo, tende a sovrapporsi alla prima e lentamente a passare in primo piano.

L’attenzione e la circospezione con cui ci stiamo muovendo sono la garanzia che le cose andranno per il verso giusto. Ed anche questa modalità soft di passaggio insegna a tutti noi qualcosa d’importante. Diciamo che fa parte dell’eredità!

Siamo sicuri che anche di questo domani saprete fare buon uso.

Un abbraccio caloroso a tutte da me, da Deliana e da Mariella!! Ad maiora!

Dino Angelini

Reggio Emilia 13.11.15

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